Leroy Jones

Intervista

Iconico trombettista di New Orleans e vincitore dell’Ascona Jazz Award 2019

Mr. Jones, cominciamo subito con “A Man And His Trumpet – The Leroy Jones Story”, il recente documentario di Cameron Washington dedicato alla sua vita e alla sua lunga carriera da musicista. Com’è nato il progetto e quale riscontro avete avuto dal pubblico?

L’idea scaturisce da un sogno che frullava per la testa del produttore cinematografico indipendente Cameron Washington fin dal da adolescente, dal giorno in cui scoprì il suono della mia tromba grazie al padre che gli fece ascoltare una registrazione di Harry Connick Jr. intitolata “Blue Light Red Light.” Avevo partecipato alla realizzazione di quell’album non solo in qualità di solista ma anche come parte della sezione di fiati della big band. Cameron ne voleva sapere di più su quel trombettista e sui suoi assoli. Ecco com’è andata.

Cameron, originario di San Francisco, è anche un trombettista, e nel tempo si è appassionato al jazz tradizionale, allo swing, al sound degli ottoni e alla musica di New Orleans. Nel 2015 si è recato in pellegrinaggio a Crescent City, a New Orleans, intendo, mi ha scovato, non mi ha mollato e, alla fine, mi ha proposto l’idea di fare un documentario sulla mia carriera. Dopo un periodo di 2 anni e mezzo di interviste sporadiche e riprese di esibizioni dal vivo – un materiale per molte ore di riprese, molte di più di quelle poi utilizzate – finalmente si è considerato sufficientemente soddisfatto del materiale raccolto!

Riguardo all’accoglienza da parte del pubblico e della critica, sia io che Cameron siamo rimasti sorpresi da come “A Man And His Trumpet – The Leroy Jones Story” abbia ricevuto un accoglienza piuttosto buona ai festival cinematografici a cui ha partecipato! Il documentario si è guadagnato anche un paio di premi strada facendo: miglior film documentario al Black Film Festival di Austin, in Texas, e, più recentemente, un Louisiana Endowment for the Humanities Award. Il pubblico che ha partecipato ai festival è stato molto coinvolto dalla pellicola e dalla storia, trovandola in genere interessante ed illuminante.

Cosa può raccontare del suo rapporto discografico con la Columbia? 

Il mio rapporto discografico con la Columbia, poi  diventata Sony Music Inc., è iniziato quando ho cominciato a collaborare  con Harry Connick Jr., artista sotto contratto proprio con la Columbia/Sony. Quando nel 1992 Harry ha fondato la sua etichetta discografica indipendente, la NOPTEE Records, ha pensato, perché mi riteneva pronto, di darmi la possibilità di registrare un album da solista. Così nel 1994 ho registrato per la NOPTEE il mio primo disco importante, “Mo Cream From The Crop”, distribuito in tutto il mondo dalla Columbia. Una seconda registrazione, intitolata “Props For Pops”, è uscita nel 1996. Credo di essere stato tra i primi artisti in assoluto a registrare con l’etichetta di Harry.

In qualità di cittadino di New Orleans, pensi che la musica, e in particolare il jazz, abbia contribuito alla ricostruzione della città dopo il passaggio dell’uragano Katrina? Se non erro proprio nel 2005, l’anno del disastro, hai registrato l’album “New Orleans Brass Band Music: Memories of the Fairview & Hurricane Band.”

In realtà, “New Orleans Brass Band Music: Memories of the Fairview e Hurricane Band” è stato registrato e pubblicato nel 2005, pochi mesi prima che gli argini crollassero. Come cittadino di New Orleans, credo fermamente che la musica – in particolare il jazz, ma anche altre tradizioni culturali locali, come la musica della banda degli ottoni – sia stata essenziale per avviare e mantenere vivo il processo di ricostruzione. Anche i nostri laboriosi vicini messicani hanno dato una grande mano alla ricostruzione post-Katrina.

La tua carriera è stata lunga e ricca di soddisfazioni. Mi puoi raccontare qualcosa della tua performance, a soli sedici anni, nel corso dell’intervallo del Super Bowl del 1972?

Proprio così, penso che la mia carriera lunga lo sia stata e anche per lo più piena di soddisfazioni! Esibirsi durante l’intervallo del Super Bowl Vl, poco prima del mio 14° compleanno, è stata davvero una grande un’esperienza! Venni presentato come un “Little Louis Armstrong” e ho suonato un paio di pezzi con Danny Barker e l’Onward Brass Band. Per l’occasione siamo stati affiancati da Carol Channing, che ha cantato “Hello Dolly” da un carro allegorico. La banda di ottoni, in quell’occasione, eseguì anche una versione strumentale della melodia “High Society.” Che momento unico ed eccitante per un giovane musicista come me! Ero arrivato a figurare gomito a gomito con i miei mentori davanti a un pubblico enorme! Tutto è accaduto grazie ai legami che avevo con Mr. Barker e la Fairview Brass Band. Ricordo che il tema dello spettacolo nell’intervallo consisteva in un tributo alla nostra celebrazione del Carnevale, al New Orleans Jazz e al figlio della città Louis Armstrong, che era scomparso l’anno precedente. Nel corso dello spettacolo ha suonato anche il trombettista Al Hirt e si è esibita la cantante jazz Ella Fitzgerald. I Dallas Cowboys hanno prevalso sui Miami Dolphins 24-3: fu la loro prima vittoria al Super Bowl.

Quando nasce la tua collaborazione/partnership artistica con Uli Wunner?

La mia collaborazione con Uli Wunner è iniziata nel 1998. Ci eravamo incontrati per la prima vota al Jazz Ascona Festival l’anno precedente. Ogni tanto dico a Uli che è un musicista jazz (e pure bravo) nei panni di un biologo marino. Da allora siamo due veri “brothers in music”, dei cari amici.

Nell’attuale scena musicale jazz, ci sono dei trombettisti che ti ispirano particolare fiducia e speranza? 

Se stiamo parlando di nuovi giovani trombettisti di New Orleans, devo fare un paio di nomi, anzi addirittura tre che ritengo stiano lasciando la loro impronta sulla scena non solo locale, ma anche nazionale e internazionale. Sto parlando di Glenn Hall (trombettista con la Rebirth Brass Band), Aurelien Barnes (trombettista con New Birth Brass Band) e John Michael Bradford.